giovedì 9 febbraio 2012

FOIBE: PER NON DIMENTICARE

Con la legge n° 92 del 30/04/04, è stato istituito per il 10 febbraio il «Giorno del ricordo» per rinnovare la memoria di una grandissima tragedia che colpì gli italiani, tenuta -purtroppo- nascosta per decenni: le foibe titine.

 3 5 0 . 0 0 0 esuli istriani, giuliani e dalmati furono cacciati costretti a lasciare le loro terre ed i loro averi e sottoposti alle angherie del regime comunista di Josip Broz (conosciuto ai più con il famigerato soprannome di Maresciallo Tito) e poi barbaramente trucidati.
Questa ricorrenza assume un valore ancora  più profondo, per sottolineare l’importanza di una memoria condivisa e di una coscienza di popolo.
Dietro le foibe c’è una lunga storia di deportazioni, di omicidi, di violenze, di repressione, di pulizia etnica, di crudeltà, di barbarie.
Il “giorno del ricordo” ci deve aiutare anche a non dimenticare la viltà dei sindacalisti della Camera del Lavoro di Bologna che coi fatti e scientemente impedirono la sosta del treno carico di profughi istriani affamati e assetati, diretti a Roma.
Un giorno per non scordare l’oblio che, per oltre mezzo secolo,  la Storia e le Istituzioni volutamente hanno fatto cadere su questo  il tragico fatto.

Addiritttura qualche politico di caratura nazionale ha ammesso candidamente di aver saputo di questa tragedia solo qualche anno fa!
Nel clima di vendetta che seguì l’armistizio dell’8 settembre del ’43, si registrò il primo fenomeno di foibe, in Istria e in Dalmazia, con l’uccisione da parte dei titini di alcune centinaia di italiani.
Come scrive Gianni Oliva, gli ordini di Tito e del suo ministro degli esteri Kardelj non si prestavano a equivoci: «Epurare subito, Punire con severità tutti i fomentatori dello sciovinismo e dell’odio nazionale».
Il movimento partigiano di Tito scatenò un’ondata di violenza nella zona di Trieste, nel Goriziano e nel Capodistriano che causò centinaia di esecuzioni sommarie immediate nelle foibe e deportazioni nelle carceri e nei campi di prigionia (tra i quali va ricordato quello di Borovnica).
Il 25 aprile a Trieste fu l’inizio di un incubo per coloro che sognavano un’Italia libera dagli orrori della guerra e delle dittature. Un sogno infranto vigliaccamente nella più totale indifferenza del mondo, e, nella disattenzione della politica e della storia.

Il rituale era ben definito: gli aguzzini, non paghi dei maltrattamenti già inflitti, bloccavano i polsi e i piedi tramite filo di ferro ad ogni singola persona con l’ausilio di pinze e, successivamente, legavano gli uni agli altri con lo stesso fil di ferro formando gruppi di circa venti persone.Venivano poi portati sull’orlo della voragine della foiba.
Qui i massacratori si “divertivano” a sparare soltanto al primo malcapitato del gruppo (mettendo anche in atto una sorta di ...“economia”) che ruzzolava rovinosamente nella foiba trascinando con sé -in un tragico effetto domino-  anche gli altri.
Un rituale tragico e barbarico (che prevedeva un epilogo macabro e dissacrante: il lancio nella foiba di un cane nero sgozzato) con il quale sono stati trucidate varie decine di migliaia di esseri umani: il tutto a guerra già finita!!!
Ce lo racconta Graziano Udovisi, unico superstite e testimone diretto del terrore titino che riuscì a liberarsi e risalire da una foiba.
A cadere dentro le foibe furono indistintamente cattolici, liberaldemocratici, fascisti, socialisti, uomini di chiesa, donne, anziani e bambini.
La persecuzione degli italiani durò fino al '47, soprattutto nella parte dell'Istria più vicina al confine e sottoposta all'amministrazione provvisoria jugoslava.
«Fu una carneficina che testimonia l’odio politico-ideologico e la pulizia etnica voluta da Tito per eliminare i non comunisti dalla futura Jugoslavia».
La persecuzione proseguì fino alla primavera del 1947, fino a quando, cioè, viene fissato il confine fra l’Italia e la Jugoslavia.
Come ricorda lo storico Giovanni Sabbatucci, la classe dirigente politica del tempo considerò i profughi dalmati “cittadini di serie B”, e non approfondì la tragedia delle foibe.
È una ferita ancora aperta “perché, ricorda ancora Sabbatucci, è stata ignorata per molto tempo. Occorre adesso l’elaborazione di una delle pagine più angoscianti della nostra storia
CHE COSA SONO LE FOIBE


Il termine “foiba” è una corruzione dialettale del latino “fovea”, che significa “fossa”.

Infatti, sono voragini rocciose, a forma di imbuto rovesciato, di origine naturale con ingresso a strapiombo, create dall’erosione di corsi d’acqua molto diffuse soprattutto nella provincia di Trieste, nelle zone della Slovenia già parte della scomparsa regione Venezia Giulia nonché in molte zone dell'Istria e della Dalmazia nell'altopiano del Carso. Esse possono raggiungere i 200 metri di profondità.
In Istria sono state registrate più di 1.700 foibe.
La foiba più famosa è quella di Basovizza che in origine era un pozzo minerario. esso divenne nel maggio del 1945 però  un luogo di esecuzioni sommarie per prigionieri, militari, poliziotti e civili, da parte dei partigiani comunisti di Tito, dapprima destinati ai campi d'internamento allestiti in Slovenia e successivamente giustiziati a Basovizza.
Nel 1980, dopo un interminabile silenzio di circa mezzo secolo, a seguito all'intervento delle associazioni combattentistiche, patriottiche e dei profughi istriani-fiumani-dalmati, il “pozzo di Basovizza” e la Foiba n.149 vennero riconosciute quali monumenti d'interesse nazionale.
Basovizza, sito nel comune di Trieste, divenne il memoriale per tutte le vittime degli eccidi per mano dei carnefici comunisti titini tra il 1943 e 1945.
Il giusto e doveroso omaggio delle più alte cariche dello Stato, giunse nel 1991, anno cruciale per la dissoluzione jugoslava e dell’Unione Sovietica, quando a Basovizza si recò l’allora presidente della Repubblica, Francesco Cossiga.
Due anni più tardi il successore Oscar Luigi Scalfaro, dichiarò la Foiba di Basovizza “monumento nazionale”.

9 FEBBRAIO: GIORNATA NAZIONALE DEGLI STATI VEGETATIVI


Nel 2011 il Consiglio dei Ministri su proposta del Ministro della Salute approvò la direttiva che indìva per il 9 febbraio la Giornata nazionale degli Stati vegetativi.
Eugenia Roccella, allora sottosegretario alla Salute, dichiarò “è molto importante, in particolare in questo momento di acceso dibattito, che il 9 febbraio sia fissata una Giornata Nazionale degli Stati Vegetativi”.

Alcune associazioni dei familiari di persone che vivono in questa condizione e che hanno lavorato al “Libro Bianco” del Ministero della Salute hanno fortemente ispirato questa giornata.
La data scelta non è una ricorrenza casuale: il 9 febbraio 2009 moriva infatti una ragazza-simbolo di questo particolare stato  di salute, Eluana Englaro, affetta da disabilità grave, la cui vita fu interrotta con una decisione della magistratura.

Il ricordo di Eluana quindi potrà essere un momento di condivisione, di riflessione, un’occasione preziosa per ricordare a tutti noi quanto sia degna l’esistenza di tutti coloro che vivono in stato vegetativo ma non hanno voce per raccontare il loro attaccamento alla vita, una giornata per fare il punto scientifico sui progressi della medicina in questo campo.

Il 9 febbraio 2009 quella vicenda sconvolse l'Italia e scatenò un acceso dibattito politico.
Dopo 17 anni di stato vegetativo causato da un incidente stradale, Eluana moriva in una clinica di Udine dopo una lunga battaglia legale e mediatica del padre Bepino  per ottenere dal tribunale l’autorizzazione di interrompere la nutrizione artificiale.
Quest’occasione -miracolosamente- riunì trasversalmente molte forze politiche che -per un giorno- abbandonarono l’ascia di guerra: Domenico Di Virgilio, vice presidente del gruppo Pdl alla Camera, Antonio Mazzocchi questore alla Camera, Massimo Polledri della Lega Nord, Paola Binetti, Luisa Santolini deputate dell’Udc e Roberto Rosso e Aldo Di Biagio deputati del Fli in un comunicato congiunto hanno riconosciuto che la giornata sugli stati vegetativi del 9 febbraio, istituita in occasione del I° anniversario della morte di Eluana Englaro, è l’occasione giusta per ribadire la necessità di colmare un vuoto legislativo in materia di Dichiarazioni anticipate di trattamento”.
Si tratta di un passaggio indispensabile dopo l’intervento, poco opportuno della magistratura, che ha innescato con il caso Englaro un conflitto di competenze tra la magistratura e il Parlamento che è l’unica istituzione cui la nostra Costituzione riconosce il diritto a legiferare. L’obiettivo che ci proponiamo noi, sostenitori del cosiddetto testamento biologico”, evidenziarono i parlamentari bipartizan “è quello di dare uno strumento legislativo che rispetti il principio di autodeterminazione, volto sempre e solo alla salvaguardia della vita, senza avallare un presunto diritto alla morte”.
Bepino Englaro, papà di Eluana, che per anni si è battuto per interrompere la nutrizione artificiale alla figlia, non ha affatto gradito questa decisione del Governo definita “inopportuna e indelicata” vista la coincidenza di quell’anniversario e al
Corriere della Sera rilasciò un'intervista per dire: “Non sono passati due anni, ma diciannove anni da quando mia figlia è morta”.

Diversi sono gli appuntamenti, in tutta Italia, in questa giornata del 9 febbraio, per ricordare la triste vicenda di Eluana e favorire il dibattito su queste delicate tematiche per non parlare più di “stato vegetativo permanente” perché non può “essere escluso in assoluto un miglioramento delle funzioni cognitive, anche a distanza di molti anni dall'evento acuto”.

Le associazioni dei familiari esprimono la propria soddisfazione per l'istituzione di questa giornata.
Paolo Fogar, presidente della Federazione nazionale associazioni trauma cranico: «è importante perché la conoscenza non è mai troppa. E queste giornate servono anche a stimolare la ricerca, un aspetto su cui le famiglie puntano molto. Speriamo che il ministero promuova anche la giornata del trauma cranico, che celebriamo da 13 anni».
Anche Fulvio De Nigris, direttore del Centro studi per la ricerca sul coma, vede la giornata come un’occasione «per approfondire queste tematiche e lanciare un messaggio di pacificazione dopo la sofferta vicenda di Eluana, che ha diviso le coscienze».
Questa giornata servirà anche «a dar conto della realtà delle famiglie e dei loro pazienti senza pregiudizi e ideologia. Intitolare la giornata alla memoria di Eluana significa non farla morire mai».

Con la scelta del 9 febbraio, anniversario della morte di Eluana, il suo ricordo non sarà più una memoria che divide ma un momento di condivisione per un obiettivo che ci unisce tutti. Significa riconoscere la dignità dei pazienti e portare l’attenzione dell’opinione pubblica sulla loro condizione.