domenica 27 maggio 2012

una nuova scienza: la NEUROTEOLOGIA


Cosa unisce la spiritualità alla ragione?
Nel corso della storia migliaia di pensatori, filosofi, scienziati, teologi, sociologi ci son cimentati -con risultati spesso contradditori– con questa domanda.

Il prof. Andrew Newberg, 40 anni, radiologo, che insegna alla prestigiosa Pennstate University, in Pennsylvania (U.S.A.) ha elaborato una sua teoria biologica sulla religione, che, fornirebbe una base neurologica per la grande “fame di Dio” che sentono gli esseri umani.
Newberg, ha ideato una nuova scienza, la Neuroteologia, che unisce la spiritualità e la razionalità.

Per Newberg la "realtà superiore" descritta dai tanti mistici o religiosi (di qualunque religione!) potrebbe essere davvero reale e la possibilità di una simile realtà non contrasta affatto con la scienza.
La teoria di Newberg si fonda su ricerche compiute negli anni ’70 da Eugene D’Aquili, psichiatra e psicologo scomparso di recente.
Secondo la teoria di D'Aquili, «la funzione cerebrale può produrre tutta una gamma di esperienze religiose, dalle visioni estatiche dei santi al tranquillo senso di comunione col divino (molto simile all’atarassia) che il credente "prova" quando prega»
All’inizio degli anni ’90, il prof. D’Aquili cominciò appunto a una collaborazione con Newberg e iniziarono a sperimentare questa teoria.
Tentarono di “analizzare” e visionare ciò che accadeva nel cervello di alcuni monaci buddisti in meditazione e di alcune suore francescane riunite in preghiera contemplativa.

I due scienziati usarono un’avveniristica tecnologia chiamata SPECT, Single Photon Emission Computed Tomography, cioè una tecnica tomografica computerizzata a emissione di fotoni singoli, in cui l’acquisizione dei dati si effettua mediante rotazione delle testate di rivelazione della γcamera intorno al corpo del paziente.
Ad ogni diversa angolazione, veniva acquisita una proiezione e l’insieme di tali proiezioni consentiva poi di ottenere delle informazioni tridimensionali più realistiche.
Con questa tecnica hanno potuto fotografare il flusso sanguigno nel cervello di ciascun soggetto, indice dei livelli di attività neurale, nel momento in cui questi aveva raggiunto il culmine dell’intensità spirituale.
L’attenzione degli scienziati, è stata attratta da una parte ben definita del cervello (lobo parietale sinistro) deputata all’orientamento, che ha il compito di tracciare la linea di separazione tra l’
«io fisico» e il resto del mondo, che richiede un flusso costante di informazioni neurali da parte dei sensi.

Le scansioni rivelarono, che, nei momenti di massima concentrazione nella preghiera o nella meditazione, questo flusso di informazioni si riduceva in maniera davvero significativa.
Gli scienziati notarono che, quando quell’area di orientamento veniva privata delle informazioni necessarie per tracciare una linea di demarcazione tra l’«io fisico» e il resto del mondo, il soggetto provava un illimitato senso di consapevolezza.
D’Aquili e Newberg avevano ottenuto quindi delle “istantanee”del cervello, in una condizione molto prossima alla trascendenza mistica, quella condizione descritta da tutte le grandi religioni come “unione mistica con Dio".
Queste esperienze, rarissime, richiedono un oscuramento, quasi totale dell’area di capacità di orientamento.
D’Aquili e Newberg, dedussero che, anche a livelli inferiori di “oscuramento”, si sarebbero potute produrre nel cervello, alcune esperienze spirituali, sebbene più ordinarie, come quando i credenti “si annullano nella preghiera o provano un senso di unione mistica durante un servizio religioso”.

La loro ricerca cercava di dimostrare che tutte queste sensazioni sono radicate non tanto nell’emozione o nel pio “desiderio”, bensì nel sistema di impulsi cerebrali geneticamente predisposto.
«Ecco perché la religione prospera in un'età della ragione come la nostra» concludeva quindi il prof. Newberg.
«È banale ragionare che Dio non esiste –aggiungeva D’Aquili– semplicemente perché i “sentimenti religiosi nascono più dall’esperienza che dal pensiero».
Newberg si fa inoltre una domanda apparentemente Marzulliana: «ma allora, Dio è soltanto una “percezione sensoriale” generata dal cervello, oppure il cervello è stato “predisposto” per fare l’esperienza della realtà di Dio»?
Newberg conclude che “la risposta migliore e la più razionale è sì”.

Il mistico medievale cristiano Meister Eckart osservava che Dio “è l’essere al di là dell’essere. È un nulla oltre l’essere”.
Bede Griffiths, un monaco benedettino contemporaneo racconta che una sera, quando era ragazzo, fu
improvvisamente rapito dalla bellezza del canto di uno stormo di uccelli.

Quel canto risvegliò in lui sensi che non aveva mai usato prima. E subito il mondo gli sembrò trasformato, come se si fosse trovato “in presenza di un mistero quasi insondabile che sembrava attirarmi verso di sé”
Niente cespugli ardenti, niente carri di fuoco.
Solo un risveglio lieve e gentile, un’“epifania” dolce di fronte alla quale molti potrebbero semplicemente scrollare le spalle.
Ma che cambiò la vita di Griffiths per sempre.
Newberg raccolse tantissime rivelazioni simili: persone colpite all’improvviso da un senso del meraviglioso mentre leggevano una poesia, o mentre riflettevano sull’universo o pregavano.
“L’esperienza mistica, non era solo una magica ascensione verso qualche lontano paradiso letteralmente inteso, ma una tranquilla e personale manifestazione che rivelava come il miracoloso e il prosaico fossero la stessa cosa”.

Per i mistici, solo quando l’io si annulla durante la meditazione, è possibile vedere la realtà come veramente è.
Ed effettivamente le scansioni di Newberg indicano che il cervello potrebbe conoscere due realtà.
In una, la consapevolezza raggiunge la mente attraverso il filtro dell’«io».
Nell’altra, l’«io» viene invece messo da parte, e la consapevolezza diventa più ampia e unificata.
E non siamo in grado di affermare quale delle due sensazioni sia più reale.
«I mistici tendono a sperimentare questo stato di trascendenza come se fosse ancora più reale della realtà ordinaria».

Albert Einstein (non proprio un mistico!) disse: “L’esperienza più bella che possiamo fare è quella del mistero. È l’emozione fondamentale alla base della vera scienza. Colui che sa, ma non è più capace di provare meraviglia, non riuscirà più a stupirsi, ed è già morto."
Come Einstein anche scienziati e grandi pensatori del calibro di Niels Bohr, Max Planck e Werner Heisenberg arrivarono a ragionamenti simili.
Il mistero è tutt’intorno a noi, dobbiamo soltanto essere attenti.
La mia salvezza è nell’udire e nel rispondere” scrisse il monaco trappista Thomas Mertonper questo la mia vita deve trascorrere in silenzio. Il mio silenzio è la mia salvezza”.
Lo scrittore Vince Rause, concluse così un’intervista al prof. Newberg: “Ho deciso che da ora in poi sarà questo il mio progetto pilota: non preoccuparmi più di essere informato su ciò che accade, sia interessante o razionale, ma soltanto stare zitto e ascoltare per un po’”.

martedì 1 maggio 2012

1° MAGGIO: FESTA DEI LAVORATORI! (cioè una minoranza!)

In principio fu l’allora ministro dell’Economia Tommaso Padoa Schioppa, che puntò il dito contro i “bamboccioni”, ovvero coloro che -superati i trent’anni– non se ne vogliono andare di casa. «Mandiamo i “bamboccioni” fuori di casa!!!», sintetizzò TPS con molta poca ironia ed estrema brutalità.
Poi arrivò Renato Brunetta, che lanciò l’idea di una legge per obbligare i ragazzi ad andar via di casa dopo 18anni.
Poi ecco Michel Martone, viceministro del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali secondo il quale laurearsi dopo 28 anni è “da sfigati”!
Ma la fantasia dei nostri governanti è sempre fervida.
Il ministro “piangente” del Lavoro, Elsa Fornero, intervenendo a un convegno all’Abi pochi giorni fa ha avuto la brillante idea di definire l’Italia “il Paese dei bamboccioni” perchè vorrebbero portare l’apprendistato fino a 30 anni.
Beh non è neppure stata originale!
Poi non doma della sua funambolica battuta ha aggiunto “vogliamo far crescere questi ragazzi e dirgli che a 29 anni sono maturi per un contratto a tempo indeterminato?”.
Forse la Ministra Fornero, non sa che -io per primo–  e gli Italiani saremmo ben lieti di accettare "un contratto a tempo indeterminato a 29anni"... se ce l’avessimo!!
Purtroppo a 30 (...o anche a 40 e oltre!) ci ritroviamo a star dietro alle collaborazioni esterne aleatorie perchè le aziende cercano solo "NEOLAUREATO, 110e lode, max 27ANNI, 4 ANNI ESPERIENZA".
Il prof. Martone forse mi conosce.
Aveva proprio presente me: il prototipo di studente sfigato. Pur non lavorando mi son laureato dopo i 30anni!!!
Supersfigatissimo quindi!
E nella mia lunghissima carriera di studente tra le aule universitarie ho avuto modo di avere un osservatorio priviligiato.
Posso dire che di aver notato infinite “fronti inutilmente spaziose” come le definiva il grande Enzo Biagi.
Ho visto tantissimi “30e lode” con la stessa consistenza di un soufflé riuscito male…
Idem per tantissimi 110/110 cum laude. A distanza di tempo mi son preso delle rivincite personali avendo avuto modo di constatare la cultura settoriale e superficiale di molti di questi 110!
Nonostante questo la stragrande maggioranza delle inserzioni di lavoro richiedono gli studenti “modello” martoniani: “neolaureato, con voto superiore a 100/110, max 28anni, 4anni d’esperienza”!


Spessissimo nei convegni sul mondo del lavoro si sente affermare una frase da dietro la scrivania del relatore famoso, esperto in recruiting e manager del lavoro: se il lavoro non c’è, ve lo dovete creare!”
Allora scatta la depressione (come se un disoccupato non fosse già in crisi a prescindere!)
Io personalmente, forte di una laurea e un master in comunicazione creativa,  ci ho pensato un po’ su, e ho avuto un’illuminazione!
Comunicare ecco il verbo che – innegabilmente – è essenziale in questo nuovo secolo.
Partendo dalla piccola azienda locale fino alla grande società con rapporti internazionali di import-export, non ci si può più sottrarre a questa esigenza: comunicare coi propri clienti in maniera diretta.
Neppure in quei settori istituzionali molto burocratizzati come le banche, gli uffici pubblici e la Pubblica Amministrazione.
Non per nulla, l’organigramma di un Comune o una Provincia, è molto simile – dal punto di vista numerico – di quello di una media azienda. E se un’azienda vende prodotti, la P.A. offre servizi.
In questo mondo, fortemente mass-mediale, anche per una Pubblica Amministrazione, occorre saper arrivare e comunicare in maniera più diretta e accattivante col proprio target, che in questo caso, sono i propri cittadini.
C'è chi ama il “fai-da-te” elaborando strategie improvvisate, ma è solo un inutile dispendio di energie e denaro. Ma, se comunicare è facile (è la prima cosa che un bimbo impara), comunicare bene è un'arte!
Oscar Wilde in uno dei suoi aforismi scrisse: «una verità detta male è peggio di una calunnia». 
Una “buona comunicazione” permette di “far parlare bene” di un prodotto. Ma l’alternativa non è solo il “non far parlare bene” della propria azienda, bensì il ben più deleterio “non parlarne affatto” ...
Ecco allora l’esigenza di mettere a disposizione delle P.A. una struttura agile, dinamica ed efficace in grado di inquadrare gli obbiettivi con una strategia mirata a raggiungerli con competenza tecnica, esperienza, strumenti tecnici e... tanta, tanta, tanta creatività.
Prendiamo ad esempio le banche: fino a vent’anni fa erano freddi uffici, con tanti “monsieur Travet” in grisaglia dietro un vetro. Zero comunicazione. Zero spot. Solo informazioni …sulla somma da pagare.
Da qualche anno si è sentita l’esigenza di rompere il clichè, abbattere il vetro e poter comunicare e raggiungere nuovi clienti adottando tecniche, prima impensabili come i media.
Ecco che anche le banche si son rivolte alle agenzie creative per elaborare spots in tv o intere pagine sui quotidiani, con quella stessa fantasia e creatività usata per vendere capi d’abbigliamento, auto, o cibi.
Quella frase se il lavoro non c’è, ve lo dovete creare!” mi ha fatto accendere una lampadina: trasformare il classico “ufficio stampa” delle P. A. (che elabora freddi, grigi, asciutti e iperburocratizzati “comunicati-stampa” da inviare agli organi locale) in vere e proprie “inner agency”, agenzie creative interne alle istituzioni, formate da un piccolo staff di esperti creativi, grafici (con una spolveratina di marketing) per comunicare in maniera efficace, diretta e anche un po’ creativa con i cittadini proprio come fa una grande azienda con i consumatori, mettendo a disposizione delle P. A. una struttura agile, dinamica ed efficace in grado di inquadrare gli obbiettivi con una strategia mirata a raggiungerli con competenza tecnica, esperienza, strumenti tecnici e... tanta, tanta, tanta creatività.
Quindi, io ho seguito alla lettera il consiglio di “crearmi un lavoro” se non c’è, ma a distanza di 51 anno nessun responabile delle P.A. (Comuni o Province) hanno saputo intravedere questa importante innovazione.
A che serve allora l’intraprendenza di “crearsi-un-posto-di-lavoro-se-non-c’è” se poi gli uffici vogliono continuare a crogiolarsi e respirare l’aria asfittica e burocratica delle scartoffie?
Pertanto forse è il caso di passare ad una fase successiva: inculcare ai dirigenti delle P.A. una dose minima indispensabile di sapersi aprire alle novità creative!
D’altronde, già nel 1928, Louis Aragon, nel suo “Trattato dello stile”, disse
Come si sa, funzione propria del genio è fornire idee ai cretini vent’anni dopo”.

Ed ora vi faccio un nome: Bill Bernbach! Per i più un autentico “Carneade” manzoniano. Ma, togliendo lui si sgretolerebbe oltre metà dell’advertising pubblicitario del secolo appena trascorso.
La sua attività dal punto di vista della comunicazione pubblicitaria è paragonabile a quella di Galileo Galilei nell’astronomia: dopo di lui nulla può esser stato come prima.
Nel 1949, fondò la DDB - Doyle Dane Bernbach con le idee ben chiare: «Proviamo al mondo che il buon gusto, la buona arte, la buona scrittura possono creare una buona vendita!”




Per entrare alla DDB, aveva fissato due sole ma essenziali condizioni:
  1. avere talento;
  2. essere una persona perbene.

In mancanza di una delle due, la sua risposta era cortese ma negativa!!
Purtroppo Bernbach è morto. E non ha lasciato eredi.
Allora a questo punto, mi deprimo ancora di più e mi chiedo mestamente: «dove sono finiti ai nostri giorni gli imprenditori intelligenti e lungimiranti come William Bernbach che per assumere personale nella propria azienda non richiedeva un “neolaureato, con voto superiore a 100/110, max 28anni, 4anni d’esperienza” ma puntava su una brava persona con talento, passione, interesse per ciò che deve fare?
Dove son finiti i Bill Bernbach che dava più importanza a quello che potrai fare con il tuo talento e non a quello che hai già fatto
BUONA FESTA DEL LAVORO AI LAVORATORI...



IO ASPETTERÒ IL 15 AGOSTO:
FESTA DELL’…ASSUNZIONE!!!