venerdì 15 marzo 2013

LE IDI DI MARZO

2054 anni orsono, a Roma, fu commesso uno fra i più orrendi crimini della storia.
Il 15 marzo 44 a.C., chiamate secondo il calendario Romano, “le Idi di marzo”, Caio Giulio Cesare venne barbaramente ucciso durante una seduta del Senato di Roma.
Fu assassinato dagli stessi nemici a cui aveva concesso la sua clemenza, da quegli amici a cui aveva concesso sempre onori e gloria e anche da coloro che aveva nominato eredi nel suo testamento.
Il popolo di Roma lo pianse sinceramente.
Presero parte alla congiura più di sessanta persone. A capo ne erano gli ex-pompeiani Caio Cassio, praetor peregrinus, e Marco Bruto, praetor urbanus. Alla congiura aderirono anche alcuni cesariani, tra cui Decimo Bruto, console designato per l'anno seguente, e Trebonio, uno dei migliori generali di Cesare destinato al consolato nel 42.Uma vera imboscata a tradimento!
Cassio era il promotore e il vero capo della congiura. Marco Bruto aderì poco prima dell'assassinio, dando una parvenza di nobiltà all'azione. Infatti Marco Bruto era considerato un filosofo stoico, al di sopra degli interessi venali personali o di classe, benché facesse l'usuraio.
I congiurati furono a lungo incerti se trucidarlo in Campo Marzio mentre faceva l'appello delle tribù in occasione delle votazioni, oppure se aggredirlo sulla via Sacra o all'ingresso del teatro.
Ma quando il Senato venne convocato nella Curia di Pompeo per le Idi di marzo (15 marzo), preferirono quel tempo e quel luogo. I congiurati portarono in Senato delle casse contenenti armi, facendo finta che fossero documenti. Inoltre appostarono un gran numero di gladiatori nel teatro di Pompeo, a poca distanza dalla Curia.
Il giorno delle Idi, Cesare non si sentiva bene. Calpurnia, sua moglie, la notte ebbe dei tristi presentimenti e lo scongiurò di non andare in Senato. Gli indovini avevano fatto dei sacrifici e l'esito era stato sfavorevole.
Cesare pensò anche di mandare Marco Antonio ad annullare la seduta del Senato.
I congiurati inviarono quindi Decimo Bruto per esortare Cesare a presentarsi in Senato e informarlo che i senatori erano arrivati già da tempo e lo stavano aspettando. Annullare la seduta a quel punto sarebbe stata un'offesa per i magistrati.
Cesare si fidò dell’amico fedelissimo Decimo Bruto, addirittura nominato suo secondo erede nel testamento.
Verso l’ora quinta, circa le undici del mattino, Cesare si mise in cammino, effettuò le pratiche religiose previste ed entrò nella Curia. Il console Marco Antonio rimase fuori trattenuto da Trebonio.
Cesare era senza la guardia del corpo perchè proprio poco tempo prima aveva deciso di abolirle.
I suoi accompagnatori erano solo senatori e cavalieri.
Appena si fu seduto, i congiurati lo attorniarono come per rendergli onore.
Cimbro Tillio cominciò a perorare una sua causa. Cesare fece il gesto di allontanarlo per rinviare la discussione e Tillio lo afferrò per la toga.
Quello era il segnale convenuto per l'assassinio.
Publio Servilio Casca colpì Cesare alla gola. Cesare reagì, afferrò il braccio di Casca e lo trapassò con lo stilo. Tentò di alzarsi in piedi, ma venne colpito un'altra volta.
Cesare vide i pugnali avvicinarsi da ogni parte. Allora si coprì la testa con la toga e con la mano sinistra la distese fino ai piedi. Voleva che la morte lo cogliesse dignitosamente coperto.
Ricevette 33 ferite. Ma solo al primo colpo si lamentò.
Poi ci fu solo silenzio.
Cadde a terra esanime.
I senatori fuggirono in preda al panico.
Rimasero solo i congiurati.
Tre schiavi deposero il cadavere su di una lettiga e lo riportarono a casa.
Cesare aveva 56 anni.
La vigilia delle Idi, discutendo su quale fosse la morte migliore, aveva detto a Marco Lepido "Ad ogni altra ne preferisco una rapida ed improvvisa".
E così era stato.