venerdì 25 aprile 2014

25 APRILE - UNA FESTA CHE NON MI APPARTIENE.







Essendo io nato il 21 Ottobre non c’è motivo alcuno che io festeggi il compleanno ad esempio il 10 Agosto…
Così come se mi chiamo Vincenzo, non festeggio oggi l’onomastico, visto che si ricorda San Marco evangelista.
VNICVIQUE SVVM. Ognuno festeggi ciò che sente.

Purtroppo dopo 70 anni il 25 Aprile è una solamente festa che divide anzichè unire, una festa che ha mantenuto intatto per 70 anni l'astio e il veleno, una festa «partigiana» (no, non intendo dire “dei partigiani” ma con l’accezione etimologica:  di parte”)…
Non è ad esempio un 14 luglio francese (con la presa della Bastiglia) o un 4 luglio americano (dove i coloni si riconoscono liberi e ripudiano la madre patria), feste cioè che uniscono tutta la nazione…

Dovrei festeggiare il 25 Aprile che ha portato a quell’orrenda squallida sceneggiata di piazzale Loreto definita (dagli storici!) come una “scena da macelleria messicana”?
Dovrei forse festeggiare il 25 Aprile che ha portato alle foibe titine?
O forse oggi dovrei festeggiare il giorno che ha dato il via alle stragi del famoso “triangolo rosso” di Reggio Emilia?
Dopo 70 anni ancora il 25Aprile è una data che divide: è una festa di liberazione con i "pugnichiusi" la cui colonna sonora ufficiale è Bella ciao!!
Ecco perchè NON POSSO FESTEGGIARE! 
Non mi sento di festeggiare una data macchiata da tanto sangue chiamandola “Anniversario della Liberazione”. Non è la festa di tutti.
Piuttosto preferisco ricordare che oggi si festeggia San Marco Evangelista

Oppure che il 25 Aprile del 387 S. Agostino ricevette il battesimo da S. Ambrogio;
O nel 1719 venne pubblicato il romanzo Robinson Crusoe
di Daniel DeFoe;
Nel 1926 la Prima rappres
entazione assoluta della Turandot di Giacomo Puccini al Teatro alla Scala di Milano;
Oppure il 141° anniversario della nascita di un grande genio Italiano: Guglielmo Marconi...

 Eh sì, oggi è un grande giorno!



venerdì 18 aprile 2014

UN MEDICO DESCRIVE LA PASSIONE DI GESÙ CRISTO


Tempo fa, il prof. Pierre Barbet, chirurgo dell’Ospedale "Saint  Joseph" di Parigi era ospite del card. Eugenio Pacelli in Vaticano, e gli raccontò che –in base alle sue ricerche– si poteva essere certi che la morte di Gesù Cristo era avvenuta per “contrazione tetanica di tutti i muscoli” e poi “per asfissia”.
E l’allora card. Pacelli, impallidì di dolore e gli rispose: «Non ne sapevamo nulla; mai nessuno ce ne aveva fatto parola ». 
E poi sussurrò: «è la conferma che il figlio di Dio patì sulla croce come preannunciato da Lui stesso ai suoi discepoli sulla via di Emmaus».
 
Ritornato nel suo studio, il prof. Barbet decise di stendere un vero e proprio rapporto scritto dal punto di vista medico, della Passione di Nostro Signore Gesù Cristo.
«Si tratta  spiega il prof. Barbet  di un argomento il cui pensiero non mi ha mai abbandonato da più di venti anni, giungendo talvolta sino ad ossessionarmi. Esiste forse al mondo og­getto di meditazione più importante per l’uomo di queste sofferenze, in cui si concretizzano due Verità misteriose, le sole che veramente importino all’uomo, l’Incarnazione e la Redenzione? È necessario e sufficiente, evidentemente che egli vi aderisca con tutta l’anima sua e ne tragga leal­mente la sua norma di vita. Ma in questo evento unico, che è il punto culminante della storia umana, il più piccolo par­ticolare acquista, a mio giudizio, un valore infinito e non dev’essere trascurato anche quando la concisione degli Evan­gelisti ci riduce a costruire su basi scientifiche, e non più scritturali ed ispirate, ipotesi più o meno solide».
I teologi possono descrivere le sofferenze morali che accompagnano la Passione del Salvatore, dall’a­gonia del Getsemani, dove Egli rimase a pregare, oppresso sotto il peso dei peccati del mondo, sino all’abbandono del Padre che sulla Croce gli strappava quello straziante gemito: «Eloi, Eloi, lamma sabactani!» ma qualora quei teologi ed esegeti volessero spingersi alla narrazione delle sofferenze fisiche di Gesù, si dovrebbero fermare davanti alla evidente difficoltà di poter spiegare –con le parole– di ciò che è avvenuto per renderci partecipi.
«Ecco perché bisogna assolutamente che noi medici, anatomisti, fisiologi –continua il prof. Barbet–   proclamiamo ben alta la terribile verità, affinché la nostra povera scienza non serva soltanto a sollevare i nostri fratelli, ma anche –missione più grande–  ad illuminarli».
La premessa conteneva un’avvertenza chiara: «io sono solo un chirurgo, ho insegnato e in questa “veste” ho passato 17 anni in mezzo ai cadaveri. Ho avuto quindi modo di studiare e approfondire l’aspetto anatomico. Posso quindi scrivere su questo tema con competenza e senza presunzione».
Partiamo dalla «impressionante» concisione degli Evangelisti: «Pilato, dopo aver fatto flagellare Gesù, lo consegnò affinché fosse crocifisso [...] Ed essi lo crocifis­sero».
Queste due frasi, ogni cristiano, per poco che co­nosca la liturgia, le sente ripetere ogni anno quattro volte nella Settimana Santa, in forme di poco diverse.
Nei riti si odono le urla della folla ebrea, le parole gravi del Salvatore, ma lo spirito non ha il tempo e modo di poter soffermarsi sulle spaventose sof­ferenze racchiuse in quelle frasi…
Certamente gli Evangelisti non avevano alcun bisogno di dare maggiori schiarimenti.
Per i cristiani dell’epoca queste due parole «flagellazione, crocifissione» avevano una potenza evocatrice della massima efficacia perché ne conoscevano il significato, per esperienza visiva  diretta. Diverso per noi e per i nostri sacerdoti: questo non significa quasi nulla!! Sì, abbiamo un’idea di un sup­plizio crudele.
Beh, adesso qualche piccolo flash ce l’ha dato il film “Passion” del regista Mel Gibson. Quelle immagini dure e crude di ciò che è avvenuto non hanno lasciato gli spettatori freddi…
Certo, ogni volta che assistiamo ad una Via Crucis, non potremmo non lasciarci trascinare da una terribile tentazione di suggerire alla nostra mente quelle immagini per riuscire solo ad immaginare quanto Ge­sù abbia sofferto e come abbia sofferto!
L’evangelista Luca ci dice che «Gesù entrò in agonìa nell’orto del Getsemani mentre pregava intensamente. Ed emise un sudore misto a gocce di sangue che cadevano fin a terra».
Il prof. Barbet fa notare un particolare: non è un caso se questo fatto è stato riportato solo da Luca: egli era un medico. E infatti lo fa con la precisione e la competenza di un addetto ai lavori.
Il “sudar sangue” o “ematoidròsi”, è un fenomeno medico rarissimo, ma già noto a quei tempi.
Avviene in situazioni estreme: a provocarlo è la spossatezza fisica unita da una violenta scossa morale causata da una profonda emozione o paura.
Il terrore, lo spavento, l’angoscia possono produrre la rottura di vasi capillari che si trovano nelle vicinanze delle ghiandole sudoripare. Il sangue si mescola al sudore e affiora sulla pelle.
Sappiamo bene com’è avvenuto il processo-farsa a Gesù organizzato e messo in scena dal Sinedrio ebraico, l’invio di Gesù a Ponzio Pilato, lo “sballottare” la vittima tra il procuratore romano ed Erode.
Pilato cede e decide di far flagellare il condannato.
I soldati spogliano Gesù e lo legano per i polsi ad una colonna dell’atrio.

La flagellazione consiste nell’essere colpiti con delle strisce di cuoio intrecciate su cui sono fissate due palle di piombo e degli ossicini.
Le tracce evidenti possiamo riscontrarle nella Sindone: la gran parte delle sferzate le troviamo sulle spalle, sulla schiena, nella regione lombare e sul petto.
I carnefici furono due: uno da ciascun lato ma di differente corporatura.
La pelle, già alterata da milioni di microscopiche emorragie effetto dell’"ematoidròsi”,si lacera e si spacca e il sangue zampilla.
E ad ogni staffilata il corpo di Gesù viene attraversato da un soprassalto di dolore.
Le forze oramai vengono meno, il sudore freddo gli imperla la fronte, la testa comincia a girare con vertigini e nausea, i brividi gli corrono lungo la schiena.
Crollerebbe in una pozza di sangue se non fosse stato legato in alto con i polsi.
Poi lo scherno dell’incoronazione: intrecciano una “corona” con lunghissime e durissime spine, più dure di quelle dell’acacia che penetrano nel cuoio capelluto (che è una zona molto vascolarizzata che quindi sanguina copiosamente).
Dall’analisi della Sindone riscontriamo un forte colpo di bastone sulla guancia destra che lascia una piaga lacero-contusa, il naso deformato da frattura nell’ala cartilaginea.
Ponzio Pilato presenta alla folla inferocita quell’uomo e lo consegna alla crocifissione.
Caricano sulle spalle di Gesù il braccio orizzontale della croce che pesa una cinquantina di kg.
Gesù cammina a piedi scalzi in un sentiero, lungo circa 600m. è cosparso di ciottoli e spesso cade sulle ginocchia.
Le spalle di Gesù sono già ricoperte di piaghe e quella trave gli scortica ulteriormente la pelle del dorso.
Arrivati sul monte Calvario, ha inizio la Crocifissione.
I soldati spogliano Gesù. La sua tunica è incollata alla pelle delle spalle. 
Ogni filo di stoffa aderisce al tessuto della carne viva. Levando la tunica (e i carnefici non hanno certo usato pietà e delicatezza!) si lacerano le terminazioni nervose messe allo scoperto nelle piaghe.
Avete mai provato a staccare la garza di una medicazione su una ferita? Non avete sofferto? Non per nulla quest’operazione –talvolta– richiede di anestetizzare localmente la zona.
I carnefici invece danno uno strappo violento.
Talvolta capita che quel dolore atroce possa provocare una sincope!
E il sangue ricomincia a scorrere.
Gesù viene steso sul dorso e le piaghe si mischiano alla ghiaia e alla polvere.
Gli aguzzini prendono le misure: un giro di succhiello nel legno per facilitare la penetrazione dei chiodi.
Un supplizio aggiunto al supplizio.

Il carnefice prende un chiodo (lungo, appuntito e quadrato) e lo appoggia sul polso di Gesù e con un colpo netto di martello lo pianta saldamente nel legno.
Seguono altri colpi.
Il nervo mediano è stato leso: in quell’istante il pollice di Gesù, con uno scatto, si è messo in opposizione nel palmo della mano.
Un dolore lancinante, acutissimo, diffuso nelle dita che –come una lingua di fuoco– raggiunge la spalla e folgora il cervello.
Quando viene leso un fascio di nervi si prova il dolore più insopportabile che si possa provare! Qualche volta si perde conoscenza! Ma Gesù non perde conoscenza! Il nervo è stato solo sfilacciato. Il tronco di nervi resta quindi a contatto con il chiodo. Quando poi resterà sospeso sulla croce, il nervo si tenderà fortemente come una corda di violino sul ponticello. E ogni scossa, ogni movimento, provocherà dolori strazianti.
E tutto questo durerà tre lunghissime ore!
Ovvio che anche per l’altro braccio si ripeteranno gli stessi atroci dolori.
I carnefici impugnano le estremità della croce, sollevano Gesù, poi facendolo indietreggiare lo addossano al palo verticale.
Le spalle della vittima hanno strisciato sul legno ruvido.
La testa di Gesù è reclinata in avanti per evitare di toccare il legno con la corona di spine.
Quando prova a sollevare la testa, riprendono le fitte acutissime.
Poi gli inchiodano i piedi.
È mezzogiorno.
Gesù ha sete. Non ha bevuto dalla sera precedente.
Il volto oramai è tirato, è una maschera di sangue.
La bocca è semiaperta.
La gola è secca, gli brucia, ma non può deglutire.
Un soldato gli tende una spugna intrisa di una bevanda acidula in uso tra i militari.
Atrocità su atrocità.
I muscoli delle braccia ora si irrigidiscono sempre di più, sono contratti.
Deltoidi, bicipiti sono tesi.
Le dita delle mani s’incurvano.
Son gli stessi sintomi di un malato di tetano, in preda a quelle orribili crisi.
È ciò che i medici chiamano tetanìa”: i crampi si generalizzano in tutto il corpo, i muscoli dell’addome si irrigidiscono, poi quelli intercostali, quelli del collo. Intervengono quindi difficoltà nella respirazione e deglutizione.
Il respiro a poco a poco si fa sempre più corto.
L’aria entra con un sibilo ma non riesce più a uscire.
Il crocefisso può (a malapena!) inspirare ma non riesce a espirare!
Gesù può respirare solo con l’apice dei polmoni.
Ha sete d’aria come un asmatico in piena crisi.
Il volto è pallido. A poco a poco diventa rosso, poi violetto, purpureo infine cianotico.
Gesù soffoca.
I polmoni son gonfi d’aria ma non riescono a svuotarsi.
La fronte imperlata di sudore. Gli occhi stanno per uscire dalle orbite.
Tutto questo provoca un dolore martellante.
Lentamente, con un ultimo sforzo, sovrumano, facendo forza sul chiodo dei piedi, cerca di tirarsi su con piccoli movimenti.
Fa leva su un chiodo che trapassa entrambi i piedi; e sfrega il dorso già martoriato sulla superficie della croce, non certo levigata!
Comunque così facendo allevia la trazione delle braccia.
I muscoli del torace si distendono permettendo una respirazione più ampia e profonda.
I polmoni riescono a svuotarsi.
Il viso riacquista quel pallore primitivo.
Ma questo sforzo dolorosissimo a che serve? Gesù vuole altro fiato per parlare.
Deve dire «Padre, perdona loro: non sanno quello che fanno!»
Ma quella posizione non può essere mantenuta a lungo. Il corpo ricomincia ad afflosciarsi e l’asfissia riprende.
Gesù ogni volta che vuole parlare deve sottoporsi a questa pratica: sollevarsi appoggiandosi sui chiodi dei piedi. E sono state tramandate sette frasi pronunciate da Gesù sulla croce.
Inimmaginabile.
Sciami di mosche, verdi e blu, come nei mattatoi, ronzano attorno al suo corpo.
Ma lui non può neppure scacciarle.
Il cielo si oscura. Il sole si nasconde e la temperatura si abbassa.
Sono le tre del pomeriggio.
Gesù di quando in quando si risolleva per respirare.
Una tortura che dura tre lunghissime interminabili ore.
Tutti i suoi dolori, la sete, i crampi, l’asfissia, i nervi mediani che vibrano ora gli hanno strappato un lamento: «Eloì, Eloì, lamma sabactani??».
Poi l’ultimo fiato nei polmoni per dire «tutto è compiuto! Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito!!».
...detto questo spirò!


martedì 15 aprile 2014

MENÙ DI PASQUA: AGNELLO, PATATE E …BUFALE.

Puntuali come le vespe nei pic-nic, anche quest'anno, in prossimità della Santa Pasqua, spuntano gli appelli contro uso degli agnelli sulla tavola nel pranzo pasquale.
E c’è chi vuole -come l'ex ministro Michela Vittoria Brambilla- fare una legge per vietare l’uccisione di “cuccioli di animali”... Quest’anno addirittura c’è chi ha voluto rifilare la bufala coinvolgendo il Santo Padre, papa Francesco, e facendo credere che avrebbe invitato i fedeli "ad evitare la carne d'agnello e/o capretto e scegliere invece un menù alternativo".
Ma il Papa, tra le numerose omelie, non ha mai detto quelle parole
e ...io sfido chiunque ad indicarmi in quale occasione Sua Santità abbia proferito queste parole.

Inoltre, a proposito di San Francesco d’Assisi, al quale il Santo Padre si è ispirato per il Suo nome papale, le cronache ufficiali riportano questo interessante racconto:
«Un giorno i frati discutevano assieme a Francesco se dovesse essere mantenuto l’obbligo di non mangiare carne, dato che il Natale quell’anno cadeva in venerdì. Francesco rispose a frate Morico: “Tu pecchi, fratello, a chiamare venerdì il giorno in cui è nato per noi il Bambino. Voglio che in un giorno come questo anche i muri mangino carne, e se questo non è possibile, almeno ne siano spalmati all’esterno».
Pertanto, evitiamo questi patetici appelli ridondanti di demagogia.
Buona Pasqua a tutti.