mercoledì 6 dicembre 2017

C'è chi preferisce un grembiule e un ferro da stiro?

Si narra Zeus per vendicarsi di Prometeo, decise di donare ad Epimeteo una splendida ragazza, Pandora (etimologicamente «tutti i doni») consegnandole uno scrigno che conteneva (a sua insaputa!) tutti i mali che un uomo può compiere o subire in vita.
Con la tipica curiosità femminile, lei lo aprì contagiando -inconsapevolmente- tutto il mondo con i mali contenuti.

Corsi e ricorsi storici.
Ecco che nel 2017 A.D. il “vaso di Pandora” viene riaperto, ma stavolta la contiene il peggiore dei mali che può affliggere l'umanità: uno stucchevole politically correct.

Ovviamente avete tutti capito che stiamo parlando del marchio di gioielli danese Pandora, che ha fatto ideare un cartello pubblicitario affisso in alcune stazione della metropolitana di Milano, che invita i propri clienti a pensare a un buon regalo di Natale per la propria partner (o mamma, figlia o suocera).
«UN FERRO DA STIRO, UN PIGIAMA, UN GREMBIULE, UN BRACCIALE PANDORA.
SECONDO TE COSA LA FAREBBE FELICE?».
Apriti cielo!

Anzi "apriti vaso (di Pandora)"! Ed ecco che tutti i mali del mondo si diffondono velocemente e altrettanto velocemente lo slogan diventa oggetto delle critiche stizzite e additato di sessismo perché sarebbe un concentrato di molti stereotipi femminili!
«Pubblicità da medioevo», «Per Natale vorremmo soprattutto rispetto, piuttosto che un bel bracciale», ed altri simili messaggi (mutuati, copiati e incollati dai precedenti post dell’8 marzo!) postati online per esprimere l’ira funesta femminile (o post-femminista?)
Come accade spesso la azienda è costretta a correre ai ripari pubblicando una rettifica nella sua pagina Facebook ufficiale: «(…) Quante di noi a Natale hanno ricevuto qualcosa di non gradito? (…) Tutte insieme, quindi, diciamo NO a pigiami, ciabatte e frullatori ma SÌ ai gioielli che amiamo. Auguriamo a tutte voi di ricevere proprio ciò che più desiderate».

Permettetemi di esprimere l'opinione (maschilista?) di colui che ama ancora fare regali alle donne, siano esse mamme, partner, datrici di lavoro, nonne, amiche o sorelle.
Ma perché una pubblicità del genere è così problematica?
Perché dobbiamo sempre pesare col bilancino le parole per paura di essere fraintesi? Quella stessa paura che, pian piano, si è insinuata in tutti noi e sta inibendo i nostri gesti galanti nel timore che possano essere interpretati come una molestia "in nuce". Quella stessa paura che ci sta trasformando in cyborg glaciali incapaci di manifestare sentimenti.

Le convenzioni sociali e il sempre più imperante “politically correct” ci stanno obnubilando la mente, impedendoci di capire l’ironia di uno slogan come questo.
Parliamoci chiaro, le donne sono le prime che pensano che il pigiama (avete presente quello in pile con gli orsetti polari disegnati) abbia il fortissimo potere di abbassare la libido maschile e sono proprio loro che invece attendono di trovare sotto l'albero un bel gioiello. Allora perché scandalizzarsi? Perché accusare questo slogan di sessismo?

Che male c’è se a Natale ricevono dal proprio uomo un braccialetto, come giusto e meritato riconoscimento di un anno dedicato a loro, ai pargoli, alla casa, un anno durante il quale si sono impegnate -spesso da sole- per ogni attività domestica (oltre quelle attività della loro professione!)?
Allora ditelo che preferite un pigiama o un ferro da stiro (che costa anche meno di un gingillo della ditta danese!).

Buon Natale a tutte le lettrici.



P.S. Vorrei donarvi un braccialetto ma non vorrei offendere la vostra sensibilità.

martedì 21 novembre 2017

La galanteria non è mai una molestia!

Il caso Harvey Weinstein (a livello internazionale) e Fausto Brizzi (in Italia) hanno rotto l’ennesimo vaso di Pandora che assomiglia più ad un segreto di Pulcinella planetario. 
Quasi tutti sapevano o intuivano, molti tacevano e ora tutti si esibiscono ora nel loro “WOW!” di stupore.

Ma non vorrei unirmi al coro di coloro che vogliono dire la loro opinione. No, io vorrei spostare l’attenzione ai risvolti che questo polverone sta avendo nella vita di tutti giorni di noi, N.I.P. (not important people) poveri mortali.

Si sa che i nostri sensi influenzano il nostro comportamento, ecco che guardando un film “horror” sentiremo scricchiolii attorno a noi; certe notizie provocano un effetto di sensibilizzazione e dopo un’inchiesta vista in TV sull’uso di “fipronil” eviteremo di acquistare -per un po’ di tempo- le  uova.
Allo stesso modo, ecco che in seguito a tali notizie sulle molestie, ogni nostro atto di cortesia potrà essere giudicato molestia.
E non parlo di casi di “ex” femministe d’antan che rifiutano che le si apra la portiera della macchina perché “so aprirla da sola”. E, credetemi, mi è capitato più di una volta ed è imbarazzante!

Mi riferisco a qualsiasi atto di galanteria che da oggi in poi verrà visto come prodromico ad una molestia che a sua volta sarà un apripista per un atto di violenza.
Non potremo più fare un complimento, perché anche questo potrà essere travisato.
«Ma ci stai provando con meÈ questa la domanda (seguita talvolta da un ceffone ben assestato) che può balenare in testa ad una donna di fronte a uomini particolarmente cortesi e gentili. 
«Stamattina sei più luminosa del solito», «Oggi ti vedo particolarmente in forma» sono frasi pericolose.

Uno studio dell’Università del Kansas ha rilevato che solo il 28% dei partecipanti ha saputo distinguere un tentativo di flirt da un comportamento cordiale e premuroso. 
Tutto ciò è di uno squallore imbarazzante!
Non bisogna sorridere spesso, mai insistere per accompagnarla sotto casa, anche se abitasse in un luogo malfamato...
E guai a dire ad una mamma “Ma che bel bambino! È suo figlio?” scatterebbe ipso istante la denuncia per pedofilìa.
E non parliamo poi se i figli sono ragazzi adolescenti…

Per paradosso, poi, le donne sono le prime che –sospirando– ammettono «Non ci sono più gli uomini di una volta» salvo poi sbavare e buttarsi fra le braccia dell'uomo macho "che non deve chiedere mai”…

Ci stanno vietando gli atti di galanteria, quei normali complimenti che rendono la vita più umana e meno glaciale come le convenzioni sociali vorrebbero ci uniformassimo.

Lo ammetto, a me piace un modo di esprimermi “aulico”, adoro il “bonton” e i gesti galanti. Cedo sempre il passo alle signore (a meno che non entri in un locale pubblico, dove è l’uomo che deve entrare per primo!), faccio un accenno di baciamano alle mie amiche, mi levo il cappellino in un luogo al chiuso e davanti alle signore.
Che squallore vedere un giovanottone seduto bel bello comodo sul tram, con le cuffie nelle orecchie (ad alto volume), il chewing-gum in bocca, lo sguardo sul tablet  incurante della signora anziana con il bastone o della giovane donna in stato interessante.
Poi ci sono quelle donne che, davanti ad un gesto cortese ti squadrano perché attribuiscono un secondo fine a quel gesto.

Dopo queste storiacce di molestie (vere o presunte, visto che talvolta si scambia per “molestia” una frase azzardata durante un provino!) molti di questi comportamenti saranno pericolosi.
Un baciamano, un gesto di cortesia, un mazzo di fiori, un caffè offerto al bar, un complimento verrà etichettato come un tentativo di avance.
Ecco qual è il rovescio di tali inchieste: renderci ancora più insensibili di quelli che siamo.

Concludendo vorrei rivolgere un appello alle donne: 
educate i vostri figli a essere dei veri uomini e a usare la cavalleria, (innanzittutto con voi)
Insegnate loro il rispetto per le donne, non accettate le maleducazioni dei vostri figli con la scusa che “sono ragazzi” e che sono i vostri figli. 
Diventeranno uomini, meglio per tutti che sappiano che cos’è la cavalleria. 
E –aggiungo– insegnate alle vostre figlie a rispettare se stesse e ad apprezzare la cavalleria in modo che sappiano evitare gli approcci cafoni e troppo diretti.

Ben vengano le inchieste, quelle svolte dalle procure, ma non toglieteci il gusto di un gesto galante.
Siamo uomini, non cyborg.



giovedì 19 ottobre 2017

Hollywood ha scoperto l'acqua calda?

A Hollywood hanno scoperto l’acqua calda? 
Si sono svegliati e all’improvviso si sono ricordati che Harvey Weinstein, produttore cinematografico fondatore col fratello della casa di produzione Miramax, è un orco. 
Non mi stupisce la notizia in se. 
Purtroppo questo marciume è la norma in ambiti artistici come il cinema, la musica e la moda. 
«Do ut des». 
E ammettiamo che spesso accade anche –con le dovute proporzioni!– anche in un normalissimo ufficio… 
E sia ben chiaro che non lo sto giustificando. Tutt’altro… 

Mi stupisce e mi irrita invece il silenzio pluridecennale che viene adottato in questi casi, salvo poi gli “oooh” di stupore più falso di una “Monna lisa triste”. Pian pianino si sta scoprendo, infatti, che, nel mondo del cinema, tutti conoscevano bene i modi di fare di Weinstein fino a ieri applaudito e oggi definito «orco insaziabile uscito dalle favole dei fratelli Grimm», ma tutti hanno deciso di tacere per circa trenta anni. 
Tutti sapevano dei suoi comportamenti aggressivi ed arroganti ma era una gallina dalle uova d’oro: un film prodotto da lui aveva già un Golden Globe (e forse un Oscar!) in mano. 
Particolarmente interessante il silenzio sulla vicenda di una “pasionaria” dei diritti femminili come Meryl Streep (pronta a fare aspre intemerate al presidente Donald Trump additato come “sessista”). 
Sarà che lei deve a Weinstein buona parte del suo Oscar come miglior attrice per «The Iron Lady» film prodotto –incredibile dictu– da Weinstein. 
Nel 2012 durante la cerimonia dei Golden Globe l’aveva definito «un dio». 
Ora fa marcia indietro e parla di un «disgustoso ed imperdonabile abuso di potere». 
I 54 membri del «Academy of Motion Picture Arts and Sciences Award board» (la giuria del premio Oscar, per intenderci!) lo ha escluso dal comitato. Emmanuel Macron ha immediatamente avviato la procedura per annullare la “Légion d'honneur” attribuita al produttore nel 2012 dall’allora presidente Nicolas Sarkozy. 
Silenzio anche dalle parti di casa Clinton visto che “l’orco” è stato uno dei maggiori finanziatori di Hillary Clinton quando tentò di insediarsi alla Casa Bianca (nonché finanziatore delle spese legali del consorte Bill nell’affaire della «sala Orale» ...ehm volevo dire «Sala Ovale»)
Neanche loro sapevano questo “Pulcinella’s secret”?
Ma l’Oscar… per la coerenza va al regista Woody Allen che definisce “triste” l'intera vicenda. Proprio lui che ha sposato la figlia adottiva?

mercoledì 18 ottobre 2017

DE AMICITIA (...altro che "friendzone")

L’amicizia e l’amore sono importantissimi per la vita umana. E su questo non ci piove.
Cos’è l’amore? 
Cos’è l’amicizia? 
Bella domanda.
Per il sociologo Francesco Alberoni «nessuna forma di amore ha tanto rispetto della libertà dell’altro come l’amicizia».
Per George Gordon Byron «Friendship is love without his wings» (l’amicizia è l’amore senza le sue ali).
Secondo una definizione comune, l’amore rispetto all’amicizia, implica anche l’attrazione fisica verso l’altro, passione, tenerezza, desiderio di unione completa con l’altra persona, però... io son sempre restio alle schematizzazioni troppo nette tagliate con il machete.

Secondo un’altra definizione, l’amore implica la diversità sessuale mentre l’amicizia è in genere tra persone dello stesso sesso.

Ecco un altro luogo comune. 
Chi lo dice che tra un uomo e una donna non ci possa essere amicizia?
È difficile, ma possibile.
Io per primo ho avuto le prove che spesso ciò sia quasi impossibile. Quasi. Posso vantare tantissime amiche.

L’amico è qualcuno con cui confidarsi, che non giudica e con cui non ci si vergogna delle proprie insicurezze. 
L’intesa in amicizia può arrivare alla perfezione: bastano alcuni gesti d’intesa per capirsi.

Pochi colgono che in un rapporto di amicizia, non essendoci segreti, si possa affrontare qualsiasi argomento.
Infatti, quando ci si trova in preda a questioni di cuore (spezzati!), spesso ci si confida con il proprio amico o amica. 
È molto più raro che accada il contrario. Ecco perché l’amicizia è più forte dell’amore.

La fedeltà inoltre è una prerogativa dell’amore, ma è una fedeltà esclusiva.
L’amicizia si basa più che altro sulla fiducia reciproca ed incondizionata, ma non esclusiva.
Io posso anche avere 4 o 5 amici, fedelissimi, e tale pluralità di amici non inficia il sentimento.
In amore, no. 
In amore la fedeltà deve essere in esclusiva. Non posso avere 2 o più compagne. Almeno... apertamente!
Ecco, forse il solo elemento comune tra l’amore e l’amore è la reciprocità.

Mi sono lasciato abbandonare a questo genere di elucubrazione leggendo l’ennesimo post ironico sul tema FRIENDZONE sui social network dove si tende a declassare l’amicizia o peggio ancora a ironizzare come se fosse una capitis deminutio rispetto all’amore.
Sulla rete ci si può sbizzarrire a trovare decaloghi del tipo “come evitare la friend zone”, “come capire se sei stato friendzonato”, “cosa fare una volta che sei stato friendzonato” come se si sia perso di vista cosa significhi essere amici.
Quando gli uomini usano il termine friendzone, stanno esplicitamente cercando di accusare le donne per aver ferito i loro sentimenti. Dire di essere stati friendzonati è una velata accusa alle donne per aver esercitato il proprio diritto di dire no.

Secondo me quelli che pubblicano sui social-networks, frasi o immagini sulle varie occasioni in cui sono ritrovati/e «friendzoned» non hanno mai provato che cosa sia davvero l’amicizia.

L’amicizia è un sentimento sublime, che in modo ossimorico può essere profondo ed etereo. 
Nulla a che vedere con l’amore che –per sua natura– è invece terreno e materiale.
L’amicizia è il dono più prezioso che io possa dare ad una persona.
L’amicizia quella vera è senza limiti come l’amore. Ma è anche senza fini e senza scopi.

«Ma io della tua amicizia non so che farmene» mi sono sentito dire una volta da una cara amica che sperava che il sentimento iniziando per «am–» terminasse in «–re» anziché in «–zia».

Ed ho avuto immediatamente la sensazione di un’amputazione bilaterale degli arti superiori.
Un po’ come se inviti una persona in un ristorante pluristellato con un menù a base di ostriche, caviale, champagne e ti sentissi dire «andiamo in pizzeria: io ho fame!».
Ecco, l’amicizia è un menù raffinato, l’amore è un piatto ipercalorico da consumare velocemente.
Entrambi sono utili per l’alimentazione, ma il primo è molto più delicato.

Aristotele (che di saggezza se ne intendeva!) ci lasciò detto che «due amici non sono altro che una sola anima divisa in due corpi»… altro che friendzone

venerdì 6 ottobre 2017

Questione di etichetta

Ci sono trattati di psicologia comportamentale che vorrebbero insegnarci le regole e le consuetudini per uniformarci alla società e – in caso di trasgressione – la sanzione è rappresentata dall'estromissione dalla stessa società.
Il dilemma amletico è, quindi, essere sé stessi o far parte della società?
E pazienza se il simbolo universale della mitezza, il Dalai Lama, una volta affermò che «dobbiamo imparare bene le regole in modo da saperle infrangerle nel modo giusto».
Gli esperti ci mettono sull'avviso – ad esempio – di non incrociare mai le braccia e le gambe durante un colloquio di lavoro perché, secondo le regole di comportamento indicherebbe un segno di volere tenere le distanze e di chiusura, ma ad esempio – personalmente – a me incrociare le gambe mi rilassa.
Io incrocio le gambe al cinema (infatti cerco sempre la fila di metà corridoio!). 
Idem quando seduto a casa davanti alla TV, o sono seduto al ristorante, in situazioni quindi in cui sono calmissimo e rilassato. 
Io ad una conferenza, nel momento di maggior attenzione, per accentuare l’ascolto, incrocio le braccia.
Non sarà che le regole – come dice il Dalai Lama – occorre saperle infrangere?
Sempre sul tema delle regole un grande genio dell’arte come Pablo Picasso, ha lasciato il consiglio di «imparare le regole come un professionista, in modo da poterle rompere come un artista».
Tutto ruota sulla necessità di apporre un’etichetta.
Tutto deve essere etichettato.

Ma l’etichetta è come strettissima catena che ci costringe a comportarsi come tanti cyborg preprogrammati seguendo un novello pifferaio di Hamelin.
È (forse) proprio per questo motivo che ho sempre avuto un’allergia per l’adesione a gruppi politici, ideologici, religiosi pur accogliendone i loro principi generali. Accettarli globalmente mi crea una sensazione di asfissia. 
Io sono io, non un numero di tessera.

La celebre massima, attribuita ad Ulpiano, “Pacta sunt servanda” (nota a chiunque abbia studiato giurisprudenza) ci insegna come non ci si possa liberare unilateralmente dagli obblighi assunti per contratto.
Poi però 
Charles-Maurice principe di Talleyrand-Périgord, ci lasciò un consiglio. «l'eccesso di zelo provoca effetti peggiori della non applicazione della norma». 
A chi dare ascolto, dunque?
Una regola è da applicare in modo ferreo o va interpretata e plasmata rendendola applicabile al caso in questione?

Un esempio: il divieto di portare bottigliette a bordo dell’aeromobile e al controllo di sicurezza ci obbligano a gettarle via. 
E non c’è spazio di trattativa (l'ottusità regna e impera!)
Il divieto è ca-te-go-ri-co.
Ho visto anche bimbi in passeggino che frignavano obbligati a separarsi dalla loro bottiglietta di succo di frutta.
Ottusità o elasticità?

Prendiamo ad esempio un farmaco, non agisce allo stesso modo in tutti. 
Perché non siamo tutti uguali. 
Non siamo un esercito di cyborg (come le convenzioni vorrebbero indurci a essere). 

Ecco dunque l’esigenza delle etichette, di invisibili “codici a barre” per arrivare alla massificazione, alla standardizzazione umana.
Un po’ come le mele, le pere, le carote o i cetrioli per i quali i nostri legislatori a Bruxelles stabiliscono anche il diametro e la lunghezza per essere appunto catalogati ed etichettati.
Non ci si rende conto della forza dell’individuo.

Ayn Rand, scrittrice, filosofa e sceneggiatrice statunitense di origine russa, ci ha lasciato scritto che «La più piccola minoranza al mondo è l'individuo. Chiunque neghi i diritti dell'individuo non può sostenere di essere un difensore delle minoranze». 
E nessuno parla dell’importanza del singolo individuo.

Passiamo al mondo dell'arte. 
Che ne sarebbe del genio di Vincent van Gogh se prendessimo come regola aurea la tecnica di pittura di Caravaggio?
Che fine farebbero Picasso, Klimt o Mondrian, a loro modo veri geni dell’arte.
O che ne sarebbe delle poesie ermetiche di Ungaretti se accettassimo come parametro lo stile di Giacomo Leopardi o Dante?

«Ognuno è un genio. Ma se si giudica un pesce dalla sua abilità di arrampicarsi sugli alberi, lui passerà tutta la sua vita a credersi stupido” disse il genio del '900 per eccellenza, Albert Einstein

giovedì 5 ottobre 2017

LIKE ERGO SUM

Tutti cercano affannosamente il plauso pubblico. E i social-networks ci hanno dato un potente ricostituente per il nostro ego. Il “like”. 
Post, foto, video, opinioni. L’obiettivo principale è solo quello di essere visto e apprezzato da tutti su un social. 
Like ergo sum. 
Non si pubblica un post per esprimere un parere su un fatto o una foto per il gusto di condividere un momento o un’esperienza della propria vita ma solo per ottenere i famosi “mi piace”. 
Guai dissentire! Se lo fai sei polemico e vieni scaraventato lontano (e attorno a te solo terra bruciata!)
Manca un confronto, serio, pacato ma schietto.
§§§
Leggo sul dizionario Treccani «confrónto s. m. [der. di confrontare]. – 1. L’atto, l’operazione, il fatto di confrontare, di essere confrontato: fare il c. di due oggetti; (…)». 
Si quindi presume che tale raffronto o paragone vada fatto tra cose differenti. E così anche per le opinioni. 
A che serve un confronto tra due posizioni identiche?
George Bernard Shaw disse «Se tu hai una mela, e io ho una mela, e ce le scambiamo, allora tu ed io abbiamo sempre una mela per uno. Ma se tu hai un'idea, ed io ho un'idea, e ce le scambiamo, allora abbiamo entrambi due idee».
§§§
da PensieriParole <https://www.pensieriparole.it/aforismi/saggezza/frse-10703>
Mi ritorna in mente una favolosa gag teatrale del grandissimo attore Ettore Petrolini che è giunta fino a noi anche grazie al recupero ad alcuni artisti, come ad esempio Gigi Proiettiche hanno riportato sulle scene il suo repertorio,  reinterpretando molti dei suoi testi. 
Sul palcoscenico Petrolini era un vulcano di battute, doppi sensi, sfottò, parole storpiate e freddure, spesso inventate al momento in un rapporto molto diretto, a tu per tu, col pubblico che affollava i teatri. 
Uno dei suoi personaggi era Nerone che sta a casa sua e il popolo lo attacca ferocemente perché ha incendiato Roma. 
Allora lui va alla finestra e fa un discorso molto affabulante per calmare gli animi. 
Il popolo gli grida “bravo!” e Nerone risponde "grazie!"
Ed inizia così un geniale gioco vicendevole di  botta e risposta, di “bravooo-grazieeeee” che si ripete più volte creando un effetto comico esilarante.
§§§
E che altro è il “like” se non un’edizione (molto meno geniale!) di questo dialogo?
Pubblicano solo foto con lo sguardo giusto e restano delusi se non raggiungono il numero sperato di “like”.
§§§
In questo vortice di autopromozione e ammirazione, secondo uno studio dell’Università di Firenze, si rischia di diventare dipendenti da Facebook e Twitter. I social networks, infatti, sono il terreno ideale per far proliferare il narcisismo.
Lo studio, condotto da Silvia Casale, Giulia Fioravanti e Laura Rugai e pubblicato sulla rivista “Cyberpsychology, Behavior, and Social Networking”, ha preso in esame un campione di 535 studenti che hanno completato un questionario per valutare la relazione tra propensione al narcisismo e l’uso di Internet. Ne è emerso che i “narcisisti vulnerabili”, cioé quelli insicuri e con meno autostima, sono quelli più propensi a preferire le interazioni attraverso lo schermo piuttosto che faccia a faccia, e corrono il rischio di diventarne dipendenti.
§§§
Poi ci sono i “narcisisti megalomani’ o grandiosi, invece, cioè che tendono all’esibizionismo e vanno apertamente a caccia di consensi. Dal punto di vista dell’utilizzo dei social network, inoltre, non sono state riscontrate differenze significative tra i narcisisti grandiosi e i non-narcisisti.
La macchina dei like sta influenzando notevolmente l’umore dei più giovani e si rischia di rimanerne vittime ed incastrati.
§§§
Ammetto che adoro molto stare su facebook e ammetto anche di essere un po’ polemico e controcorrente. Non cerco like.
È un social network ovvero una rete sociale dove confrontarmi su alcuni argomenti. Io esprimo ciò che penso, poi ascolto le altre opinioni al riguardo senza però prevaricare. Non ho come obiettivo quello di avere ricevere “like” come una cartina tornasole dell’essere accettati, per poter pensare di essere “importanti”.
§§§
Poi noto che basta un’opinione contraria, un “like” mancato, un “invece no”, un “se permetti, io penso che…” per scattare inesorabile il cartellino rosso, l’eliminazione. 
Bannato. Bloccato. Eliminato!
Non potendo eliminare fisicamente chi dissente e chi pensa in modo differente, i social networks offrono la possibilità di eliminarlo virtualmente per potersi beare tra i like, gli applausi, i “braaaavo/grazieeee”. 
Abbiamo perso il piacere del confronto. E quando non si è più in grado di accettare un’opinione diversa dalla nostra ci aspetta un destino crudele. 
Ma attenti, su facebook c’è il tasto “blocca” ma nella vita reale non c’è…

martedì 5 settembre 2017

La mamma che odia i "Buondì"? è MOTTA!!

Per attirare l’attenzione, in qualsiasi ambito o contesto, la tecnica del "lisciare il pelo" dell’interlocutore è sempre un asso nella manica.
Oppure l’ironia nel messaggio può essere un grimaldello per far riflettere.
O talvolta è utile una frase, un gioco di parole che –lento ma stakanovista come un tarlo– si insinua, silente, nella nostra mente per poi esplodere inaspettatamente e farci capire con calma ciò che la campagna intendeva fare capire.
Infine si può colpire lo spettatore con un vero shock visivo come un famelico squalo che ci incontra mentre facciamo due bracciate spensierati al largo, lasciando i pensieri nella battigia.
Finora per la comunicazione creativa per lanciare i prodotti dolciari destinati alla colazione ci si è sempre rivolti al primo modulo. Un messaggio dolce proprio come i prodotti da lanciare.
Poi, ecco che arriva un nuovo spot che si è abbattuto sulle nostre tv come un …asteroide.

Apriti cielo!!
«Quella bimba è saccente e antipatica».
«La scena in cui perisce la mamma può provocare turbamento».
Occorre ricordare che è pur vero che la prima legge della comunicazione creativa ci dice che “occorre stupire il cliente”. Ergo, se ha sollevato questo fulmineo polverone, beh, un primo risultato c’è stato.
Al netto poi del più che prevedibile incitamento al “boycott the…” che nasce spontaneo in qualche mente atrofizzata.
La bambina saccente poi, è il vero “colpa d’ala” che dona luce allo spot.
Un po’ come la bimba  nella pubblicità della Lufthansa  che ci spiega che «è una questione di fisica». 
Oppure chi si ricorda del dialogo tra due bambini sul seggiolino della bicicletta, uno più saccente dell’altra.
Lui con gli occhialini tondi alla Cavour, lei impeccabile con una compostezza da vera sciura  milanese in nuce. 
Lui con un modellino di aeroplano afferma con un evidente rotacismo: «Con l’elettricità farò volare i miei aerei». E lei voltandosi gli intima sarcasticamente: «Si, ma prima allacciati  bene la cintura».
Senza quella spocchia, il dialogo sarebbe stato decisamente più piatto.
A chi dice poi che quelle scene possono provocare turbamento nei minori, mi sovvengono in rapida successione le classiche favolette per bambini dove non mancano lupi cattivi, draghi, rapimenti, segregazioni in stanze segrete di castelli…
E non continuo con le scene di violenza quotidiana che vengono proposte anche in fascia protetta.
Sinceramente io trovo questa campagna davvero geniale e darei un premio ai “creativi” che l'hanno ideata che hanno dimostrato di saper superare e azzerare la solita, bieca, banale, scontata (ed innaturale) famigliola finta che si riunisce insieme a fare colazione con calma e in armonia.
Senza contare che in altri spot si è volutamente fatta fuori la figura della mamma per presentare un nuovo tipo di famiglia più “openminded” e nessuno si è mai lamentato…
Fossi nei panni dell’art director della agenzia creativa elaborerei subito un nuovo spot:
«che fine ha fatto la mamma?»
E la bimba con forte accento siculo risponde «…è MOTTA!!».

giovedì 31 agosto 2017

20 anni senza una dolcissima donna

Lady Diana Frances Spencer, famosa soprattutto come “Lady Diana”, è morta vent’anni fa, a 36 anni, la notte tra il 30 e il 31 agosto del 1997. 
Da sottolineare che titolo “lady” lo ereditò dalla sua famiglia di origine, non dal matrimonio reale…
 È innegabilmente una delle donne che ha lasciato il segno indelebile nella seconda metà del ‘900.


Dietro l’immagine patinata che i media hanno voluto offrire c’è solo l’immagine di una donna fragile, delicata, infelice, anticonformista (per quel che poteva permettersi). 
Una donna molto amata dal popolo del Regno Unito, che sentì subito a pelle che per la prima volta nella “Royal Family” qualcuno mostrava sensibilità ed umanità.
«La principessa del popolo», la chiamarono e la chiamano ancora gli inglesi adottando la fortunata definizione di Tony Blair.


La notte tra il 30 ed il 31 agosto, era con Dodi Al-Fayed, quella tragica notte i due partirono in auto dall’Hotel Ritz in Place Vendôme e per sfuggire ai giornalisti e ai fotografi che li aspettavano poco dopo mezzanotte nel tunnel dell’Alma a Parigi l’autista perse il controllo della Mercedes che sbandò e si schiantò contro un pilastro.  
Dodi Al-Fayed e l’autista morirono sul colpo. 
La guardia del corpo, seduta sul sedile anteriore, rimase gravemente ferita. 
Lady Diana, ancora viva, venne soccorsa e poi trasportata in ambulanza all’ospedale Pitié-Salpêtrière, dove arrivò poco dopo le 2 di notte.
Aveva gravi lesioni interne e venne dichiarata morta due ore più tardi.
Per le strade di Londra parteciparono circa 3 milioni di persone.
Durante la cerimonia Elton John cantò una versione di «Candle in the Wind».
Come disse il fratello di Diana era «una donna dalla nobiltà innata, che andava oltre le classi sociali», e che negli ultimi anni aveva «dimostrato di non aver bisogno di un titolo reale per continuare a generare il suo particolare tipo di magia».
Una donna davvero speciale che con la sua immagine, dopo il divorzio, aiutò i bambini poveri dell'Africa e fu accanto a personalità come Nelson Mandela, il XIV Dalai Lama Tenzin Gyatso, e la santa Madre Teresa di Calcutta con la quale strinse una fortissima amicizia.
A chi storceva il naso per la sua amicizia con quella donna così diversa da lei, contesa dalle copertine delle riviste di gossip, la religiosa replicava: «Non sto accogliendo una principessa, ma una giovane in difficoltà, ansiosa di fare opere di bene e rinforzare la propria fede».
Per uno strano scherzo del destino moriranno a 5 giorni di distanza.
La sua grandezza era proprio quella di mettere tutti a proprio agio. In occasione del suo genetliaco, il 1 Luglio, mi piaceva farLe pervenire i miei auguri e Lei, puntualmente, mi faceva rispondere con la sua carta intestata (non quella ufficiale, ma quella personale!)... 


ecco perché la sua bellezza e la sua classe rimarranno sempre a imperitura memoria.