venerdì 28 aprile 2017

QUANDO LA STORIA SI MACCHIA DI INCIVILTÀ

L’oltraggio ai cadaveri è antico come l’uomo. I popoli preistorici portavano come ultima e disperata risorsa di cibo, alcuni prigionieri vivi, che mutilavano cercando di lasciare ancora in vita per mangiarli pezzo dopo pezzo, e infine divorandone i cadaveri. Ma allora era un’esigenza di sopravvivenza (e la civiltà ancora era ancora agli esordi!). Durante i fasti dell’Impero Romano, a metà del XIV secolo, a Cola Di Rienzo, toccò qualcosa di molto simile: dopo esser stato adorato, fu linciato dai Romani che ne straziarono il corpo e lo appesero per i piedi vicino alla chiesa di San Marcello. Anche in epoca medievale era diffuso l’uso di esporre i cadaveri in pubblico, chiusi in gabbie appese in luoghi molto frequentati lasciandoli esposti finché ne rimaneva soltanto lo scheletro. Quasi fosse come un trofeo. Ma eravamo nel medioevo… Ma eravamo nel XVI secolo… e la civiltà e la democrazia era ancora in forma embrionale…
L'immagine può contenere: 8 persone, sMSQualcosa di altrettanto incivile è accaduto anche 72 anni orsono. Benito Mussolini e la sua amante Claretta Petacci, dopo esser stati catturati a Dongo (un piccolo comune sulla costa nord-occidentale del lago di Como) dalla 52.ma Brigata Garibaldi, furono fucilati il 28 aprile 1945 dal partigiano Walter Audisio che, subito dopo ne trasportò i corpi a Milano, (insieme a quelli di altri fascisti e repubblichini).
Dopo 72 anni, la cronaca storica di cosa avvenne esattamente è ancora molto vaga, ma pare quasi certo che Mussolini fu ucciso a Giulino di Mezzegra, (frazione dell’attuale comune di Tremezzina, in provincia di Como) a circa 20 chilometri di distanza da Dongo.
La Resistenza antifascista, voleva assumersi la responsabilità storica dell’uccisione di Mussolini, preferendo non lasciare la decisione e l’eventuale fucilazione agli Alleati. I corpi furono trasportati in piazzale Loreto a Milano, dove vennero esposti al pubblico ludibrio della popolazione che si accanì –vigliaccamente!– contro come un branco di cani rabbiosi. Nessuna pietà, nessuna parvenza di umanità fermò quella manifestazione violenta dove l’astio fu fatto sgorgare liberamente. Furono scene di vera mattanza spietata e volubile. Sui cadaveri, cominciò lo scempio della folla assetata di vendetta: calci, sputi, anche colpi di pistola che fracassarono il cranio a molti di loro. Una donna arrivò a urinare sul volto del Duce in segno di sfregio. Un vero e proprio vilipendio di cadavere. A quel punto decisero di issare i poveri resti sulla tettoia di un distributore di benzina e i corpi vennero appesi a testa in giù. Ci volle la mano pietosa di un prete, vicino ai partigiani, don Pollarolo, per chiudere con una spilla la gonna di Claretta e far cessare le urla di scherno. Le scene di quel 28 aprile 1945 non sono molto differenti dalle scene medioevali: erano raccapriccianti, disgustose e terribili. Quello spettacolo a piazzale Loreto, dall’alba al tardo pomeriggio del 29 aprile 1945, aveva indignato un po’ tutti. Ferruccio Parri, vice comandante del Comitato di liberazione nazionale Alta Italia, definì quella scena una «macelleria messicana». Persino il “partigianoSandro Pertini, l’uomo che –anni prima– dichiarò di voler uccidere Mussolini con le proprie mani, davanti a quella scena esclamò: «L’insurrezione è disonorata». Anche questo è frutto del 25 aprile che molti si ostinano a voler festeggiare!
«Corsi e ricorsi storici» suggerirebbe il buon Giambattista Vico… Troppo facile fare un parallelo fra Cola di Renzo e Benito Mussolini nel 1945: entrambi catturati, travestiti, trucidati e appesi per i piedi da quello stesso popolo che li aveva tanto osannati; entrambi oratori esaltanti, col culto della romanità e idee rivoluzionarie. Non bastò ucciderli, il popolino, come bestie fameliche, volle anche vilipendere e oltraggiare i loro cadaveri.
E dopo 72 anni, quel 28 Aprile 1945, il popolo italiano scrisse una fra le pagine più buie della sua millenaria storia. Una pagina densa di odio e barbarie, cinismo e viltà. Una pagina scura che –dopo 72 anni– ancora non abbiamo voluto cancellato per ristabilire la verità!

mercoledì 26 aprile 2017

NO BLOG!

Oggi sono entrato nel solito supermarket col mio solito carrello.
Mi sono diretto subito allo scaffale dei biscotti da colazione.
Avevano tutti un elemento in comune: nell'involucro esterno spiccava in caratteri in rilievo «SENZA OLIO DI PALMA».
L'ho letto in tutte le confezioni.
Una, cinque, dieci volte.
Spesso era ancora più in evidenza dello stesso marchio di fabbrica, tant’è che mi sovvenne che, se io fossi stato un alieno appena giunto –sotto mentite spoglie!–  sul pianeta Terra, avrei potuto pensare che quello fosse il vero "brand" di biscotti.

Poi stando attenti, c’era un altro marchio, «SENZA GRASSI AGGIUNTI».
Bene, l'alieno pensò, sulla Terra non c'è un monopolio di dolci.
Almeno ci sono due differenti marchi di biscotti.

Ma c'è anche chi vuole strafare (melius abundare?): c'è un biscotto prodotto «SENZA BURRO, SENZA UOVA, SENZA OLIO E SENZA LATTE (sic)».
STRIKE!
COLPITO E AFFONDATO!

E non voglio immaginare quali siano gli ingredienti di quel prodotto dolciario. Senza contare il gustoso retrosapore ricco di sentori gradevoli che evocano campi di grano, latte appena munto ed olio di frantoio.
Lo stesso aroma intenso di quella tazina da caffè offerta dai bambini e che sei obbligato a degustare facendo schioccare la lingua e simulando di non aver apprezzato mai un caffè tanto buono.

Per caso, poi balza agli occhi una marca di frollini che invece esalta il «gusto e la lavorazione con ricetta tradizionale».
E infatti scelgo quello. 
Ne metto subito 3 o 4 pacchi nel carrello.

Poi passo davanti allo scaffale della pasta.
Questo invece è il reparto del brand «NO O.G.M.».
E pensare che anch'io -allibito e basito- ho pensato "Oh my God". Ma quello è un altro OGM.
Spaghetti, trenette, rigatoni, vermicelli, fusilli. 
Tutti rigorosamente free O.G.M.

Anche nel reparto profumeria non c'è un monopolio, i marchi sono due: «NON TESTATI SU ANIMALI» e «SENZA PARABENI».
Oramai in un supermarket potrei orientarmi in base alle etichette sui prodotti, a prescindere dai reparti.
Quando arrivo al reparto «SENZA POLIFOSFATI» deduco subito di essere in salumeria.

Si è arrivati a descrivere qualcosa per ciò che non è o per ciò che non ha.
Un po’ come se nella biografia di Alessandro Manzoni leggessimo “non ha scritto la «Divina Commedia» e neppure «A Silvia»".
O come se in un libro di matematica trovassimo scritto che «6 per 9 non fa 63».
Ma anche per chi protesta, il «NO» è un must:  «NO NUKE», «NO TAV», «NO TRIV», «NO TAP», fino al «NO VAT». 
Ma la perla è rappresntata dai cartelli stradali di "COMUNE DENUCLEARIZZATO" e pazienza che non sia mai stato nuclearizzato...
Ormai ci interessa solo «ciò che non è». A prescindere.
Non mi stupirei se ad un incrocio in autostrada leggessi l'indicazione «NO MILANO», «NO TORINO», ed in un Curriclum Vitæ elencassi tutto ciò che non so fare.
Quando qualcuno dice che questo mondo va al rovescio, penso proprio che abbia ragione.
Anzi direi che non ha torto!

E nel frattempo nel mondo vige il  «NO THINK»

P.S, Questo blog è senza refusi. Forse.

martedì 25 aprile 2017

25 APRILE: UNA FESTA CHE DIVIDE

Sono passati 72 anni da quel 25 Aprile 1945 ma purtroppo resta ancora una festa che divide anziché unire, una festa che ha mantenuto intatto lo stesso astio e quel veleno di 72 anni orsono, una festa «partigiana» (no, non intendo dire “dei partigiani” ma con l’accezione etimologica:  una festa “di parte”)…
Non è ad esempio un 14 luglio francese (con la presa della Bastiglia) o un 4 luglio americano (dove i coloni si riconoscono liberi e ripudiano la madre patria), quelle sono feste che uniscono tutta la nazione…

Dovrei festeggiare il 25 Aprile che ha portato a quell’orrenda squallida sceneggiata di piazzale Loreto definita (dagli storici!) come una “scena da macelleria messicana”?
Dovrei forse festeggiare il 25 Aprile che ha portato alle foibe titine?
O forse oggi dovrei festeggiare il giorno che ha dato il via alle stragi del famoso triangolo rosso” di Reggio Emilia?
Dopo oltre 70 anni ancora il 25 Aprile è una festa di liberazione con i "pugni chiusi" la cui colonna sonora ufficiale è 
«Bella ciao»!!
Ecco perché NON POSSO FESTEGGIARE!
Non mi sento di festeggiare una data macchiata da tanto sangue chiamandola “Anniversario della Liberazione”. 
Perché non è la festa di tutti. 
Piuttosto preferisco ricordare che oggi si festeggia 
San Marco Evangelista.
Oppure che il 25 Aprile del 387 
S. Agostino ricevette il battesimo da S. Ambrogio;
O nel 1719 venne pubblicato il romanzo 
Robinson Crusoe di Daniel DeFoe;
Nel 1926 la Prima rappres
entazione assoluta della Turandot di Giacomo Puccini al Teatro alla Scala di Milano;
Oppure il 141° anniversario della nascita di un grande genio Italiano: Guglielmo Marconi...
 Eh sì, oggi è un grande giorno!

lunedì 24 aprile 2017

I COLORI HANNO SEMPRE QUALCOSA DA DIRCI: ASCOLTIAMOLI.


Abbiamo visto che il «bianco è purezza» ma non si può dire (citofonare NIVEA!).
Ma il colore è la percezione che avvertono i nostri occhi della luce riflessa dall’oggetto che stiamo osservando. 
Esistono due grandi categorie di colori: primari (il Rosso, il Verde e il Blu)  e secondari che si ottengono mescolando tali colori tra loro. 
Mescolando tutti i colori …si ottiene il Bianco.
Lo so che questo forse lo sapete, ma io ve lo dico.
Il blog è mio e lo gestisco io. (cit)
Ma il linguaggio dei colori non è universale, esistono delle regole!
Ogni cultura ha attribuito loro dei ruoli che vanno tenuti conto per fare in modo che i messaggi siano comprensibili rispettando le connotazioni in uso in una precisa cultura che spesso si basano su valori psicologici e su una simbologia legata, il più delle volte, alla tradizione.
Ad esempio dopo un attento studio sociologico si è appurato che tra gli utenti statunitensi:
  • per una comunicazione destinata agli uomini sarebbero più adatti i colori arancio e rosso;
  • mentre il blu e il verde sarebbero più compatibili nei messaggi indirizzati alle donne.
  • Una scatola piena di sostanze sgradevoli, i bambini la “percepiscono” rossa, per gli uomini è gialla e le donne la “vedono” verde.

Questi sono solamente due esempi che dimostrare che la percezione dei colori non varia solo con la nazionalità o la cultura, ma anche con l’età anagrafica o il sesso.
È facile quindi capire la massima importanza che hanno queste risposte al momento di stabilire il colore di un prodotto, il suo brand e il packaging.
Quindi, il significato dei colori non è univoco, ma comunque è possibile ritrovare delle costanti che sono menzionate sia dai tecnici che dai poeti.
·  NERO: è un colore con una capacità suggestiva elevata. È un “non colore” privo di luce, è l’unico colore che permette, impiegato con il bianco, di definire una scena sia fotografica che cinematografica. Per il suo impiego in momenti di lutto, suscita timore, ed è legato a qualcosa che finisce, ma è considerato tra i colori con una maggiore carica sensuale. È il colore del buio e dell’angoscia ma come il bianco può stare dovunque. Capita spesso di vederli impiegati in ruoli alternativi: in alcune culture il bianco è impiegato nelle situazioni di lutto.
Colore della morte e della disperazione, soprattutto se è opaco. Spazio di vita impossibile, il nero esprime un silenzio desolato, deserto, privo di avvenire. Rimanda all’immobilità ed alla irrequietezza. È tra i colori impiegati dagli strumenti di scrittura ed è usato per dare massima evidenza. È innegabile che il nero esprima eleganza, nobiltà e distinzione.
·  BIANCO: ecco un altro «non colore», cioè, un colore che inibisce sia gli impulsi aggressivi che sessuali che non trovano sfogo attraverso la sua presenza. Ma non è semplicemente un colore neutro, blando, passivo. Con le sue numerose sfumature, permette di veicolare dei significati di splendore e o d’illuminazione. È il colore della luna, degli angeli, della veste del papa, della neve.
Il colore della luna.
Il bianco inoltre rappresenta la purezza (ma per piacere non fatelo sapere in giro!), e infatti lo ritroviamo nell’abito nuziale o quello della prima comunione e non tralasciamo la bandiera con la richiesta di tregua attraverso la resa.
Il bianco è tanto più luminoso quanto più estese sono le superfici che ricopre. Il bianco esprime un silenzio assoluto, velato di ottimismo. Il bianco, unito al blu, trasmette i concetti di igiene, di asetticità, di azione rinfrescante
BLU: è definito un colore freddo, dal suo accostamento risaltano molto bene tutti gli altri colori. Ha una componente elegante e seduttiva e rimanda ad una sensazione aristocratica ed elitaria.
Si definisce “blu” il sangue che scorre nelle vene dei rappresentanti della nobiltà.
È un colore impegnativo nella comunicazione creativa perché può “rubare” attenzione al messaggio.
La ricerca del blu indica tranquillità emotiva, un bisogno di distacco dove non è ancora ben definita la nuova tappa.
È il colore più efficace per restituire la calma all’organismo; il blu crea un’atmosfera favorevole alla distensione, allo sviluppo della vita spirituale.
È il colore del manto della Madonna, quindi evoca purezza e femminilità.

AZZURRO: richiama una dimensione ambivalente poiché si riferisce sia ad una condizione di pace che ad una carica di energia dettata dal contatto con la purezza, cioè con l’infinito.
È un colore che rimanda a degli elementi naturali fondamentali come il cielo e l’acqua e quindi denota anche qualità fondamentali dell’essere umano quali la bontà e la delicatezza d’animo.
Secondo lo psicologo Jung, il colore del cielo e della vita dello spirito corrisponde al mondo del pensiero. Molti non sanno che inizialmente era il colore dei bimbe, in quanto un blu (colore del manto della Madonna, quindi femminile per eccellenza) più attenuto.
·         VERDE: è un colore che precede le emozioni, quasi le ridimensiona. Rappresenta la natura e la semplicità dell’abito che è stato dato alla terra per gli ospiti. Le foglie degli alberi, dei prati come il colore dell’acqua del mare. Ciclicamente viene restituito dal tempo che passa e rappresenta la ciclicità. Ma anche l’autodistruzione, la Natura che si ribella e va fuori controllo (come gli gnomi, gli elfi, i folletti irlandesi. Il colore della speranza ma anche dell’invidia.
Ha anche un vago accenno umoristico che ha permesso di utilizzarlo per definire una situazione economica priva di risorse. È il colore della quiete che contribuisce a creare le condizioni di distensione e di riposo, colore immobile ma vivo. Con diverse nuances può riflettere una situazione attiva, soleggiata, simbolo di una vita nuova, oppure carica di serietà che rimanda alla riflessione.
·         GIALLO: è il colore della vivacità e luminosità. È il colore del sole, dell’oro, della sabbia (e quindi del deserto), del leone. Rappresenta l’entusiasmo e l’ottimismo e conseguentemente una situazione di vuoto interiore e di illusione implica una certa riluttanza al suo impiego. Alcune volte è percepito come frivolo e sbarazzino. È molto impiegato per articoli per bambini e per articoli da cucina rimandando quindi all’intimità del desinare e alla freschezza dei prodotti della terra.
Colore della luce, dell’allegria, della giovinezza, il giallo crea un’atmosfera stimolante che rivitalizza, autentico rimedio contro la tristezza.
·         ARANCIONE: nasce dall’unione del giallo e del rosso e simboleggia la speranza di essere capaci di crescere (giallo = sole), dà il nome al frutto tipico di regioni molto assolate.
Ha un potere stimolante unito ad una visibilità eccezionale. Questo colore attira i timidi e gli indecisi perché è in grado di esprimere una notevole energia, accompagnata da generosità.
·         ROSSO: questo colore indica la volontà di vincere, la rivoluzione innovativa, la sessualità che sa di essere provocatoria.
È una bandiera dell’ardire, della passione senza controllo, ma anche del divieto e del pericolo. È il colore del fuoco, del sangue: ciò che è distruttivo e vitale. Paradossalmente, è il colore dei tramonti quindi del concludere per ricominciare.
Rappresenta il potere e la passione ma anche l’irrequietezza della timidezza infatti ne è uno dei segnali. Nell’antichità la sua produzione era molto costosa, ed è stato associato al potere (toga dell’impero romano, toga dei magistrati) o spirituale (veste del cardinale). È associato alla forza, all’entusiasmo e alla gioia di vivere.
·ROSA: è il colore della delicatezza. Il messaggio che trasmette questo colore è un messaggio che riguarda i sentimenti fondamentali, dalla bontà all’amicizia, che proprio richiedono la misura di poter esistere e il rispetto per evitare di morire.
È il colore delle guance dei neonati ma richiama l’identità femminile, e per questo associabile proprio ai valori d’amore che sottende la vita.
Molti non sanno che inizialmente era il colore dei bimbi, (non delle bimbe!) in quanto rosso (colore del valore guerriero) più attenuto.
·  VIOLApuò oscillare tra la freddezza quando è scuro ed il calore quando è chiaro. Si accompagna alla solennità, richiama i momenti di malinconia e di tristezza, (non per nulla ha dato il nome ad un fiore simbolo della malinconia del ricordo. È composto dal rosso e dal blu. Sarà poi un caso che il primo rappresenti da passione della carne e il secondo sia il colore del cielo: infatti crea un ossimoro cromatico.
Si  porta appresso la “nomea” di colore portajella, retaggio dell’ambito teatrale quando, nell’800, i teatri venivano coperti da un telone viola durante la Quaresima e non si poteva mettere in scena alcuna rappresentazione. Pertanto in quei 40 giorni, gli attori non erano in grado di lavorare. Adesso quest’usanza non è più applicata ma …resta la famigerata e inquietante nomea.
Colore del mistero, dell’utopia, del misticismo.
·  MARRONE: è il colore di un elemento apprezzato ed importante come il legno, ma il marrone è il meno popolare dei colori.
Forse perché cromaticamente è un oscurarsi del rosso, quindi una forza che non è stata sufficiente per ottenere un risultato. Quasi mai impiegato per le automobili, si prende una rivincita con le scarpe per le quali è uno dei pochi colori impiegati.
È il colore del realismo, della materialità, con riferimento alla terra. Indicano compattezza, solidità ed utilità; è il simbolo di una vita quotidiana semplice, robusta, attiva ed in buona salute.

· GRIGIO: un altro colore poco utilizzato. Ha una valenza sterile e fredda, infatti ha un largo impiego per trasmettere un senso diplomazia, nel senso della capacità di evitare un coinvolgimento definito. È  un colore freddo e razionale ma attivo. L’aggettivo “grigio” e il suo sostantivo “grigiore” non gli fanno proprio una bella propaganda, ma gli viene riconosciuto il fascino della determinazione quieta, non nutre ma conserva, non stimola ma accompagna. 
È il colore del dubbio e dell’atonia. Il  grigio chiaro rappresenta la monotonia, spavento, vecchiaia, la morte che si avvicina. Il grigio scuro: monotonia più malinco
nica.

venerdì 21 aprile 2017

OGGI ROMA COMPIE 2770 ANNI. AUGURI, ROMA!

21 Aprile 2017: Oggi è il 2770° compleanno di della città di ROMA, "Caput Mundi", la città eterna!
Secondo una leggenda il 21 aprile del 753 a.C. Romolo fondò la città di Roma.
Romolo, discendente dalla stirpe reale di Alba Longa, a sua volta discendeva da Silvio, figlio di Lavinia e di Enea, l’eroe troiano giunto nel Lazio dopo la caduta di Troia.
Romolo voleva chiamarla ROMA ed edificarla sul Palatino, mentre Remo la vuole battezzare Remora e fondarla sull'Aventino.
Lo storico Tito Livio ci riferisce le due più accreditate versioni dei fatti: «Siccome erano gemelli e il rispetto per la primogenitura non poteva funzionare come criterio elettivo, toccava agli dei che proteggevano quei luoghi indicare, attraverso gli aruspici, chi  scegliere per dare il nome alla nuova città e chi vi dovesse regnare dopo la fondazione.
Così, per interpretare i segni augurali, Romolo scelse il Palatino e Remo l'Aventino.
Remo apparvero sei avvoltoi.
Romolo però ne erano apparsi il doppio.
Quando ormai il presagio era stato annunciato, i rispettivi gruppi avevano proclamato re l'uno e l'altro contemporaneamente.
Gli uni sostenevano di aver diritto al potere in base alla priorità nel tempo, gli altri in base al numero degli uccelli visti.
Ne nacque una discussione e dal rabbioso scontro a parole si passò al sangue: Remo, colpito nella mischia, cadde a terra.

È più nota però la versione secondo la quale Remo, per prendere in giro il fratello, avrebbe scavalcato le mura appena erette [più probabilmente il pomerium, il cosiddetto solco sacro] e quindi Romolo, al colmo dell'ira, l'avrebbe ammazzato aggiungendo queste parole di sfida: «Così, d'ora in poi, possa morire chiunque osi scavalcare le mie mura».
In questo modo Romolo s'impossessò da solo del potere e la città appena fondata prese il nome del suo fondatore.

La cristianità raffrontò questo episodio con quello biblico di Caino ed Abele, come pure nei gemelli abbandonati alla corrente del fiume Tevere in un cestello di vimini, si compara l’episodio di Mosè, il legislatore del popolo d’Israele con la lupa capitolina...

La data pare sia stata fissata dallo storico latino Varrone, sulla base dei calcoli effettuati dall'astrologo Lucio Taruzio, ma è più leggendaria che storica perché risulta accertato che, prima che Romolo tracciasse il famoso solco entro cui far nascere la città di Roma, alle pendici del Campidoglio già esistesse un agglomerato associativo che copriva tutta l’area sacra di Sant’Omobono, nei pressi del Foro Boario, che risaliva al XIII° secolo prima di Cristo.

Che Roma sia nata nel 753 a.C. o prima, poco importa, perché la celebrazione del 21 aprile, nell'antichità, era una grande festa chiamata "Palilia" in onore della Dea Pale, un’antica divinità romana della pastorizia, considerata di solito femminile, talvolta maschile, connessa con la sacralità del Colle Palatino.
I moderni studi storici e archeologici, che si basano sia su queste ed altre fonti scritte, sia sugli oggetti e i resti di costruzioni rinvenuti in vari momenti negli scavi, tentano di ricostruire la realtà storica che sta dietro al racconto mitico, nel quale man mano si sono andati riconoscendo alcuni elementi di verità.

Son passati 2770 anni, ma tante cose son passate.
Vedendo come sia cambiata Roma, non resta che citare una splendida canzone che amaramente la definiva:
" Greta Garbo di vanità 
Tu con il cuore nel fango 
L'oro e l'argento, le sale da tè 
Paese che non ha più campanelli"